Approccio al paziente oncologico anziano

Già gli antichi romani utilizzavano l’aforisma “senectus ipsa morbus est’ cioè la vecchiaia è di per sè una malattia.

In Italia la popolazione ultrasessantacinquenne è la più alta del mondo e l’età è sicuramente il maggior fattore di rischio per lo sviluppo di una malattia neoplastica e mai come in questa condizione la strategia di cura va ponderata considerando la reale aspettativa di vita e le comorbilità ossia la contemporanea presenza di diverse patologie comuni nel soggetto in età avanzata (es. diabete, ipertensione arteriosa, cardiopatie, broncopneumopatie, insufficenza renale, epatopatie croniche, secondi tumori etc..)

Dottor Masini, quali sono i mezzi che aiutano a definire lo stato di salute del paziente?

Quando l’esperienza e le competenze non sono sufficienti, si può ricorrere a scale di valutazione geriatrica multidimensionale (VGM, ADL…), strumenti fondamentali di raccordo trasversale tra l’oncologia, l’ematologia e la medicina interna geriatrica che prendono in considerazione disabilità, comorbilità, stato cognitivo, stato psicologico, ruolo sociale, condizioni economiche ed ambiente di riferimento del paziente in cura.

Non fa differenza, in queste scale, che si tratti di tumori solidi (es. polmone, fegato, colon-retto, apparato urogenitale maschile e femminile etc.etc.) o di tumori del sangue (leucemie, linfomi, mieloma etc.etc.): le stesse interferenze farmacologiche e soprattutto le tossicità ben note, devono sempre essere valutate nel rapporto rischio-beneficio che possono perfino ridurre la sopravvivenza .

Come deve essere valutato il paziente?

Il problema vero è che in ogni caso ‘ il malato non è una malattia ma l’insieme di tutti i suoi problemi’. Da qualche anno è in forte sviluppo l’approccio palliativo che pone molta più attenzione alla qualità della vita rispetto alla durata: scopo principale del trattamento dell’anziano oncologico è il prolungamento della ‘attesa di vita attiva’

Ci sono novità nei trattamenti di queste patologie?

Fortunatamente negli ultimi tempi si sta assistendo alla disponibilità di nuove opportunità terapeutiche (sia “immunoterapie” che terapie “bersaglio”) meno tossiche e anche più efficaci per cui è divenuto più possibile applicare terapie ‘attive’ (cioè antitumorali) anche in età più avanzata.

Questo non deve illudere però che siano sempre praticabili perché gli organi di un paziente anziano fragile possono non sopportare quello che per un giovane/adulto è invece facile.

In conclusione se il paziente anziano, deve essere considerato e gestito nella sua globalità, cercando di evitare la frammentarietà degli interventi terapeutici, chi più del medico di libera scelta ne può e ne deve fare l’epicrisi dopo opportuno confronto con l’oncologo o l’ematologo , magari coadiuvati dal prezioso lavoro dei palliativisti.

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