È un argomento attuale che può capitare in pratica, a tutti coloro che si occupano di medicina sportiva e/o di cardiologia dello sport; quando poi trattasi di soggetti in giovane età, l’attenzione mediatica è altissima per non dire quella giudiziaria.
Senza voler ricordare il recente evento del nuotatore reggiano, non più di due mesi fa mi trovavo in Valle D’Aosta per una breve vacanza e, il giorno precedente il mio arrivo, un ragazzo di 14 anni, portiere di una squadra di calcio, si accasciava improvvisamente in campo, praticamente da fermo, senza contatti o altro, rianimato, decedeva poco dopo nel vicino ospedale regionale.
Di cosa è morto? Era stato valutato prima adeguatamente? È stato adeguatamente soccorso? Esisteva il defibrillatore in campo? L’autopsia scoprirà la causa? Capite che si aprono in questi casi numerosi problemi complessi.
Non tratterò delle morti durante gare automobilistiche, motociclistiche, gare di sci, alpinismo, sport subacquei, pugilato, volo sportivo, cioè fondamentalmente causate da traumatismi o errori vari di valutazione del rischio – equipaggiamento – adeguata preparazione, ma dei processi improvvisi che possono avvenire durante allenamenti o competizioni tipo calcio, basket, pallavolo, attività in palestra, ecc…
Perché capitano queste cose che sconvolgono tutti?
Intanto diciamo che sono meno frequenti nella popolazione sedentaria, dove l’incidenza è di 1 a 100 000, prediligono il sesso maschile, precisando poi che circa 4,5 milioni sono gli atleti agonisti in Italia, a fronte di 14,5 milioni di soggetti che praticano attività sportive in genere; in Italia poi, la medicina sportiva è discretamente diffusa e sviluppata da almeno 30 anni, ci sono normative chiare per l’attività agonistica, un po’ meno per quella non agonistica, che come ben sappiamo spesso è agonistica nei fatti, e andrebbe, a mio avviso, valutata meglio.
Solo due parole su come si comportano negli USA, dove non esiste obbligatorietà, ma questionari vari da compilare, da parte del soggetto, e se un atleta vuole sottoporsi a visita deve spendere sui 1000 dollari. In Gran Bretagna, invece, esiste una valutazione, ma se si evidenziano delle patologie che in Italia bloccherebbero l’attività sportiva, da loro l’atleta viene informato dei rischi e starà a lui decidere cosa fare, eventualmente con una polizza adeguata.
La visita medico sportiva ha, a mio parere, un alto valore preventivo e sociale, molti soggetti però riescono ancora ad evitarla. A Parma si stima che circa il 25-30% di coloro che dovrebbero farla, non la fanno. Attenzione però, perché fermare un soggetto e portarlo alla sedentarietà è oltremodo pericoloso, bisogna infatti, ben sapere cosa si fa e perché eventualmente consigliare attività a basso impegno cardio vascolare.
L’ambiente può incidere in qualche modo?
Un breve accenno anche alla componente ambientale: bisogna capire che un conto è praticare sport in condizioni ottimali di temperatura, umidità, ecc… un conto è giocare a tennis con 40 gradi, alle due del pomeriggio di luglio e con umidità del 70%, oppure uscire in bicicletta con gli amici in gennaio con -5 gradi, al mattino; stiamo attenti anche a queste cose.
Spesso faccio il paragone con chi visito, tra una Ferrari o atleta agonista, giovane e allenato, e dico questo: “Anche una Ferrari se la spingo a 300 km/h sul rettilineo di Monza, per 40 o più volte, può rompere il motore, in alternativa una 500 Fiat o altra marca (atleta non agonista di mezza età) se la porto più volte a 140 km, probabilmente la terza volta vedrò qualche spia accesa sul cruscotto”. Cosa voglio dire? Intanto che lo sport in genere, specie se estremizzato, è aritmogeno, cioè aumentando troppo la frequenza cardiaca, per tempi non brevi, non sappiamo bene cosa ci può capitare, ovviamente più in soggetti non allenati e non seguiti adeguatamente; oltre alla frequenza cardiaca, andrebbe calcolato il massimo consumo di ossigeno per quel soggetto, però non tutti i centri lo possono fare e non è richiesto dalle Normative, ma ci direbbe molto di più fin dove si può arrivare senza rischiare.
Un altro breve accenno alle sostanze dopanti e/o altre droghe di tutti i tipi, che hanno ben noti effetti cardiotossici, tipo la cocaina che purtroppo è più diffusa di quanto si pensi, poi anche il fumo di sigaretta, gli alcolici, gli errori alimentari con secondaria obesità, l’ipertensione, il diabete, le dislipemie, ecc…. Ricordiamo poi che possono esistere differenti ecg grafici a seconda delle varie etnie, ad esempio gli africani sub shaariani della parte occidentale dell’Africa, presentano spesso T negative e aumento del diametro settale cardiaco, con cardiopatia assente, però se muoiono, la causa è la cardiomiopatia ipertrofica, quindi vanno valutati bene; anche gli asiatici in genere, possono presentare differenze dagli occidentali o caucasici.
Venendo alle vere patologie che possono portare a morte improvvisa negli atleti, quali sono?
Precisiamo subito che circa il 10% delle autopsie è negativo almeno macroscopicamente, ma oggi vanno integrate con indagini genetiche sempre più sofisticate e veloci (non molto tempo fa ci voleva circa un anno per fare una mappatura genetica adeguata, oggi molto meno), e molte patologie tipo cardiomiopatia ipertrofica, displasia aritmogena del ventricolo dx – cardiopatia dilatativa – Sind. del QT lungo, ecc… hanno una base genetica che implica una non facile indagine familiare.
Non mi stancherò poi di dire che una accurata anamnesi (episodi sincopali pregressi, dolori toracici, decessi improvvisi imprecisati in componenti familiari) va sempre fatta anche se costa tempo e fatica.
Su base statistica, negli over 35 anni, l’aterosclerosi delle coronarie è la causa più diffusa di MI, nei giovani e giovanissimi invece elencando semplicemente, si va dalla cardiomiopatia ipertrofica, alla displasia aritmogena del ventricolo dx, alla s. di Brugada, alle miocarditi virali acute, sub acute, croniche, alle anomalie di origine delle arterie coronarie (la sx molto più implicata della dx, che andrebbero ricercate sempre in corso di ecocardiogramma), alle patologie canalicolari tipo sind. del QT lungo genetica e la più rara sind. QT breve (la sind. del QT lungo è implicata almeno nel 35% delle morti improvvise in culla), alle valvulopatie mitro aortiche severe, alla sind. di Marfan con possibile dissecazione acuta dell’arco (ricordo sempre, essendo stato anche io giocatore di basket il caso negli anni 80 del pivot della nazionale, morto in campo durante una partita); ancora ci possono essere casi di aterosclerosi precoce legati ad errori alimentari, obesità ipercolesterolemie familiare, che possono portare a infarto; ancora per finire polmoniti virali, emorragie cerebrali specie nel poligono di willis, severe crisi ipoglicemiche in diabetici di tipo 1, giovani non seguiti adeguatamente con correzioni insuliniche e consigli dietetici, atti alla attività agonistica.
In conclusione?
Concludendo, in caso di dubbi in corso di visita, non bisogna lesinare nel chiedere consulenze eo accertamenti che possono essere semplici come l’ecocardiogramma, o più impegnativi come l’holter aritmico eo pressorio, la tc coronarica, l’angio tc, l’angio rm e lo studio elettrofisiologico. La medicina prosegue sempre con nuove conoscenze e tecnologie, e solo questo ci può aiutare nelle diagnosi preventive.