Intervista al Dottor Gianni De Berti
Le demenze costituiscono sempre di più un problema di sanità pubblica, rappresentando una delle maggiori cause di disabilità nella popolazione generale ed avendo un considerevole impatto socio-sanitario.
Nei soli Paesi dell’Unione Europea (EU) le stime più attendibili parlano della prospettiva di superare nel 2020 i 15 milioni di persone affette da demenza, con un rapporto femmine/maschi che ipotizza più del doppio dei casi per il genere femminile rispetto a quello maschile.
In termini di disabilità inoltre, risulta che il peso della demenza è, nei Paesi EU, quasi doppio di quello generato da una patologia come il diabete.
La demenza di Alzheimer (DA) rappresenta, il 54% di tutte le demenze con una prevalenza nella popolazione ultra sessantacinquenne del 4,4%. Per quanto essa sia la forma più comune e nota non è tuttavia l’unica possibile causa di decadimento cognitivo.
I segni ed i sintomi di tali condizioni sono molto vari ma sommariamente si può considerare che vengano compromesse, in varia misura e combinazione: – la memoria, – la comunicazione e il linguaggio, – la capacità di concentrarsi e di prestare attenzione, – il ragionamento e il giudizio, – la percezione visiva. I deficit di memoria sono in ogni caso il primo e più comune (ma non l’unico) segno di esordio.
Negli ultimi anni si è posta molta attenzione alla rilevazione delle forme iniziali di decadimento cognitivo, che meglio di altre possono prestarsi ad una eventuale cura. Si parla in questo caso di MCI (Mild Cognitive Impairment): individui che hanno deficit cognitivi maggiori rispetto a quelli che statisticamente si possono aspettare per la loro età e istruzione, ma che non interferiscono significativamente con le loro attività giornaliere. Alcune ricerche suggeriscono che questi soggetti tendano a progredire verso una probabile malattia di Alzheimer con un tasso di circa il 10% al 15% per anno.
Dr De Berti, quali sono le altre possibili cause di una riduzione nelle facoltà cognitive?
Le possibilità sono in realtà molte, alcune più comuni e frequenti, altre decisamente più rare. In generale si possono distinguere le demenze cosiddette primarie o degenerative da quelle secondarie.
Nelle demenze primarie siamo di fronte a processi degenerativi progressivi. Ad esse appartiene la malattia di Alzheimer ma anche altre forme tra le quali ad esempio la demenza fronto-temporale, la demenza a corpi di Lewy, la paralisi sopranucleare progressiva, solo per citarne alcune.
Nel caso delle demenze secondarie il decadimento cognitivo sarà invece una conseguenza di altre malattie che lo causano. In questo caso le possibilità sono veramente molte e variegate.
Ce ne potrebbe citare alcune?
Prima fra tutte, vista l’elevata frequenza, deve essere ricordata la demenza vascolare, generata da lesioni su base ischemica del parenchima cerebrale: la malattia di base sarà in questo caso quella a carico delle arterie e del sistema circolatorio. Altre cause possono essere tumori intracranici che in certe condizioni e se localizzati nelle opportune sedi, possono provocare un disturbo delle funzioni cognitive, del comportamento.
Ma dobbiamo anche ricordare cause metaboliche, farmacologiche, carenziali, endocrinologiche, infettive…
L’uso di esami neuroradiologici quale e quanto aiuto può dare alla diagnosi?
E’ abbastanza intuitivo che il riscontro ad un esame neuroradiologico di una patologia specifica alla base del deterioramento cognitivo cambia completamente l’iter terapeutico successivo. Alcune classificazioni identificano a tal proposito le cosiddette forme “reversibili” di demenza, nel senso che possono essere efficacemente curate, portando ad un arresto nella progressione dei sintomi o anche ad un loro miglioramento. Un valido esempio può essere quello di un ampio meningioma frontale, tumore benigno, che può essere rimosso completamente portando ad un recupero di molte funzioni compromesse.
Ecco allora che fin dagli inizi dell’era della TAC e della Risonanza si è sempre ritenuto che l’esecuzione di uno di tali esami sia indicato prima di formulare la diagnosi al fine di accertarsi che non emergano patologie potenzialmente curabili.
Una volta escluse queste la diagnosi si orienterà verso altre forme di demenza, restringendo il ventaglio delle possibilità.
Nel caso invece delle demenze degenerative come l’Alzheimer gli studi neuroradiologici ci permettono sempre di fare la diagnosi precisa?
Questo è un argomento molto delicato. Nell’immaginario collettivo c’è l’idea, errata, della risonanza magnetica come strumento definitivo per porre diagnosi di demenza degenerativa come l’Alzheimer. Questo non è assolutamente vero. Deve essere ben chiaro che la diagnosi di una forma degenerativa di demenza si pone assemblando molti dati diversi, componendo una specie di puzzle. Fra le varie caselle da considerare ci sono quelle riguardanti l’anamnesi, ovvero il colloquio con il paziente ed i parenti per valutare la tipologia dei disturbi, la loro evoluzione nel tempo, la loro influenza sulle attività di vita quotidiana e così via. Saranno poi importanti la visita medica, gli esami di laboratorio ma soprattutto l’esecuzione di test neuropsicologici specifici. Oltre a tutto ciò, come detto, sarà opportuno eseguire un esame di neuroimmagine. Quest’ultimo andrà a fornire ulteriori dati importanti alla formulazione finale della diagnosi ma deve essere ben chiaro che da solo non è in grado di porla, se non in una minoranza di casi.
Quali sono gli esami di neuroimmagine da eseguire? Devono essere eseguiti in modo particolare?.
Possiamo ricorrere a due tipi di tecnologia: TAC o Risonanza Magnetica.
La prima è di più facile esecuzione sia perchè facilmente disponibile, sia perchè è di esecuzione più veloce e quindi meglio tollerata anche da pazienti poco collaboranti. Con questo strumento si potranno escludere gran parte delle patologie che possono causare una demenza secondaria, come tumore o idrocefalo normoteso.
E’ da segnalare che se condotta con alcuni accorgimenti particolari può anche dare informazioni aggiuntive sulle demenze degenerative: l’integrazione dell’esame standard con immagini ulteriori prescritte con modalità specifiche possono permettere al neuroradiologo l’esecuzione di alcune misurazioni. Queste indicheranno se vi sia ipotrofia, ovvero riduzione di volume, di specifiche strutture cerebrali denunciando così una problematica degenerativa.
Si tratta di eseguire in sostanza una valutazione delle dimensioni della testa dell’ippocampo per confrontarla tramite opportune tabelle con le dimensioni attese negli individui sani di pari età. L’ippocampo è la struttura che fra le prime va incontro ad atrofia nella malattia di Alzheimer.
Rispetto allo studio standard, convenzionale, dell’encefalo si ottengono in questo modo informazioni aggiuntive per formulare la diagnosi finale e la TAC encefalo non servirà in questo caso solo per escludere forme secondarie, come in passato.
E’ fondamentale che tali misurazioni siano eseguite nel modo corretto, secondo precisi dettami, da un neuroradiologo esperto. Ripeto ancora una volta che non sono comunque dati che permettano di per se stessi di porre la diagnosi definitiva se slegati da tutto il resto del contesto clinico e neuropsicologico.
La Risonanza Magnetica fornisce delle opportunità ulteriori, per quanto sia un po’ più complessa da eseguire. Potranno con essa essere visualizzati con accuratezza tutta una serie di possibili danni parenchimali cerebrali che denunciano possibili demenze causate da disturbi metabolici. Inoltre permette di ottenere alcune misurazioni cosiddette morfometriche: si potrà valutare ancora una volta il grado di trofismo delle teste ippocampali attraverso opportune scale di valutazione ma anche il grado di atrofia corticale globale. In una condizione particolare, la Paralisi Sopranucleare Progressiva, è possibile effettuare misurazioni delle aree di alcune strutture del cervello che permettono di effettuare un calcolo il cui valore finale ci potrà dire con buona approssimazione se siamo o meno di fronte a tale malattia.
Tutte queste metodiche sono utilizzate presso il nostro Centro presso la casa di Cura Villa Verde.
E’ bene precisare che si tratta di modalità di studio non standard, applicate solo ai casi in cui lo specialista lo richieda.
Va ricordata infine tutta una serie di ulteriori possibili applicazioni di Risonanza Magnetica ancora più avanzate, con valutazioni automatizzate del volume di determinate aree di corteccia cerebrale ma in questo caso entriamo nel settore della ricerca.